Con la circolare del 27 marzo 2025, n.6, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha fornito le prime indicazioni operative circa le importanti novità introdotte con la legge 13 dicembre 2024, n.203, il c.d. “Collegato Lavoro”.

La circolare si sofferma puntualmente sulle norme in materia di somministrazione di lavoro, lavoro stagionale, periodo di prova, comunicazioni in materia di lavoro agile ed infine sulle norme in materia di dimissioni volontarie e risoluzione anticipata consensuale del rapporto di lavoro (dimissioni per fatti concludenti).

Tra i chiarimenti forse più attesi dagli operatori ai fini della corretta gestione dei rapporti di lavoro, quelli sul periodo di prova e sulle dimissioni volontarie.

Per quanto riguarda il periodo di prova,  si ricorda che l’articolo 13 della legge n.203/2024, di modifica dell’Art.7, co.2 del D.Lgs. n.104/2022, ha fissato la durata del periodo di prova in un giorno di effettiva prestazione ogni quindici giorni di calendario, con un minimo di due giorni e un massimo di quindici giorni per contratti fino a sei mesi, e trenta giorni per contratti superiori a sei mesi e inferiori a dodici mesi. La circolare del Ministero chiarisce che i limiti massimi individuati dalla legge non sono derogabili dalla contrattazione collettiva dal momento che l’autonomia collettiva non può, in via generale, introdurre una disciplina peggiorativa rispetto a quella legale. Per poter valutare se le disposizioni contrattuali siano più favorevoli rispetto alla previsione normativa, il Ministero chiarisce che generalmente – in applicazione del principio del favor praestatoris – viene considerata più favorevole per il lavoratore una minore estensione del periodo di prova.

Per quanto riguarda invece la nuova disciplina delle dimissioni per fatti concludenti, è opportuno qui richiamare nella sua interezza la novella legislativa di cui all’Art.19 (di modifica dell’Art.26, D.Lgs. n.151/2015) secondo cui “In caso di assenza ingiustificata del lavoratore protratta oltre il termine previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro applicato al rapporto di lavoro o, in mancanza di previsione contrattuale, superiore a quindici giorni, il datore di lavoro ne dà comunicazione alla sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro, che può verificare la veridicità della comunicazione medesima. Il rapporto di lavoro si intende risolto per volontà del lavoratore e non si applica la disciplina prevista dal presente articolo. Le disposizioni del secondo periodo non si applicano se il lavoratore dimostra l’impossibilità, per causa di forza maggiore o per fatto imputabile al datore di lavoro, di comunicare i motivi che giustificano la sua assenza”. Il Ministero interviene in particolare su alcuni aspetti che avevano suscitato dubbi  e perplessità: in primo luogo si chiarisce che il termine individuato dal legislatore (quindici giorni) è da intendersi come termine legale minimo affinché il datore possa inoltrare la specifica comunicazione all’ispettorato territoriale del lavoro. Ciò implica che il datore può attivarsi a partire dal sedicesimo giorno in poi. La stessa comunicazione, inoltre, dovrà essere inviata anche al lavoratore per permettergli di esercitare in concreto il suo diritto di difesa. Qualora inoltre, per la stessa fattispecie, il contratto collettivo applicato al rapporto di lavoro preveda un termine diverso da quello legale, troverà applicazione la disciplina contrattuale qualora il termine sia superiore, mentre ci si dovrà attenere a quanto previsto nella legge se previsto un termine inferiore. Sempre in merito, il Ministero opportunamente richiama la possibilità che diversi contratti collettivi possano ricondurre ad un’assenza ingiustificata protratta nel tempo – di durata variabile, anche inferiore ai quindici giorni previsti dall’articolo 19 in esame – conseguenze di tipo disciplinare consentendo al datore di procedere al licenziamento, per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo. In tali ipotesi, si deve ritenere che le previsioni contrattuali in materia siano un corpus unico per cui, laddove il datore intenda procedere ad una risoluzione del rapporto al verificarsi della condizione prevista dal contratto, lo stesso dovrà seguire il percorso delineato dal CCNL. Percorso da tenere distinto e quindi del tutto alternativo a quello previsto dall’articolo 19 in commento. Ovviamente, resta ferma la facoltà dei contratti collettivi di disciplinare espressamente la fattispecie delle dimissioni per fatti concludenti, stabilendo un termine diverso (più favorevole) da quello fissato dalla norma per ricondurre all’assenza ingiustificata l’effetto risolutivo del rapporto.

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